una sensibilità, un gusto, una musicalità che incatenano l'ascoltatore dalla prima all'ultima nota. Nessuna ostentazione di virtuosismo esce da quelle mani che corrono sicure nei passaggi più pericolosi: tutto è messo al servizio di un'espressione intensa, intima, capace - ed è proprio il segno del grande interprete - di riempire i silenzi delle pause con un'intensità pari a quella del suonoTORINO. Non ascoltavo da tempo il giovane pianista Pietro De Maria che ha suonato l'altra sera al Conservatorio per l'Unione Musicale. Il suo nome figura ormai stabilmente nei cartelloni delle principali società concertistiche, ed è applaudito come uno dei talenti più sicuri delle giovani generazioni. L'effetto che mi ha fatto è stato quello non più di una promessa ma di un artista ormai perfettamente maturo. Il programma intitolato «Dediche» presentava tre capolavori sommi per qualità artistica e bellezza esecutiva. In apertura, la seconda ballata di Chopin, dedicata a Schumann. Poi la Fantasia in do maggiore op. 17 di Schumann, dedicata a Liszt. Ed è qui che il panismo di De Maria si è rivelato: una sensibilità, un gusto, una musicalità che incatenano l'ascoltatore dalla prima all'ultima nota. Nessuna ostentazione di virtuosismo esce da quelle mani che corrono sicure nei passaggi più pericolosi: tutto è messo al servizio di un'espressione intensa, intima, capace - ed è proprio il segno del grande interprete - di riempire i silenzi delle pause con un'intensità pari a quella del suono. Un suono caldo, affettuoso, sempre adatto all'atmosfera di sogno che fa evaporare, una dentro l'altra, per magica virtù fantastica, le successive visioni della meravigliosa fantasia. De Maria ha un temperamento classico, scevro da ogni eccesso, e punta tutto all'intensità della espresssione che, evidentemente, non è solo frutto d'intuizione irrazionale: dietro una simile esecuzione ci sono un pensiero, una lucidità razionale che danno spessore e consistenza alla musica. Nella seconda parte, esecuzione altrettanto avvincente della Sonata in si minore di Liszt, dedicata a Schumann: anche qui virtuosismo trascendentale esibito con una classe e una sensibilità sovrane. In molti passi sembrava di risentire Arrau. Applausi scroscianti. Pubblico abbastanza folto, e una bella sfilza di bis.
una sensibilità, un gusto, una musicalità che incatenano l'ascoltatore dalla prima all'ultima nota. Nessuna ostentazione di virtuosismo esce da quelle mani che corrono sicure nei passaggi più pericolosi: tutto è messo al servizio di un'espressione intensa, intima, capace - ed è proprio il segno del grande interprete - di riempire i silenzi delle pause con un'intensità pari a quella del suonoTORINO. Non ascoltavo da tempo il giovane pianista Pietro De Maria che ha suonato l'altra sera al Conservatorio per l'Unione Musicale. Il suo nome figura ormai stabilmente nei cartelloni delle principali società concertistiche, ed è applaudito come uno dei talenti più sicuri delle giovani generazioni. L'effetto che mi ha fatto è stato quello non più di una promessa ma di un artista ormai perfettamente maturo. Il programma intitolato «Dediche» presentava tre capolavori sommi per qualità artistica e bellezza esecutiva. In apertura, la seconda ballata di Chopin, dedicata a Schumann. Poi la Fantasia in do maggiore op. 17 di Schumann, dedicata a Liszt. Ed è qui che il panismo di De Maria si è rivelato: una sensibilità, un gusto, una musicalità che incatenano l'ascoltatore dalla prima all'ultima nota. Nessuna ostentazione di virtuosismo esce da quelle mani che corrono sicure nei passaggi più pericolosi: tutto è messo al servizio di un'espressione intensa, intima, capace - ed è proprio il segno del grande interprete - di riempire i silenzi delle pause con un'intensità pari a quella del suono. Un suono caldo, affettuoso, sempre adatto all'atmosfera di sogno che fa evaporare, una dentro l'altra, per magica virtù fantastica, le successive visioni della meravigliosa fantasia. De Maria ha un temperamento classico, scevro da ogni eccesso, e punta tutto all'intensità della espresssione che, evidentemente, non è solo frutto d'intuizione irrazionale: dietro una simile esecuzione ci sono un pensiero, una lucidità razionale che danno spessore e consistenza alla musica. Nella seconda parte, esecuzione altrettanto avvincente della Sonata in si minore di Liszt, dedicata a Schumann: anche qui virtuosismo trascendentale esibito con una classe e una sensibilità sovrane. In molti passi sembrava di risentire Arrau. Applausi scroscianti. Pubblico abbastanza folto, e una bella sfilza di bis.