Ciò che prevale è la trasfigurazione dell’idea di patria, tessuta da una gamma così varia di sentimenti di nostalgia, tenerezza, di rabbia e disperazione che fa della Polacca uno dei generi – se non il genere – chopiniano per definizione. E quindi per De Maria un terreno di confronto ideale. Basta ascoltare come snida il canto anche nelle Polacche più perentorie, e come la forbice del suono si divarichi da dimensioni quasi catatoniche e impeti di follia. In mezzo, tutte le sfumature del sogno.Ancora un disco e l’integrale chopiniana sarà completata. Fiore all’occhiello di un interprete che ha l’ardire di affrontare tutto Chopin anche in recital, Pietro De Maria dedica l’ottavo doppio cd del percorso alle Polonaises abbinate alle Variazioni, genere non gettonatissimo dall’autore (sono solo quattro le produzioni) benché molto in auge fra i virtuosi del primo Ottocento.
Nelle Polacche si convoglia molto del mondo del compositore, dalle prime delizie (raccolte nel secondo compact disc, ove c’è anche “l’improvvisazione” di un piccolo Chopin di soli 7 anni notata sul pentagramma dal suo maestro Zywny perché il bambino non era ancora capace di scrivere le note) a quelle del dopo 1830 (anno della rivolta di Varsavia appresa da Chopin a Vienna) a quelle più mature e poliedriche. In ogni caso non composizioni monolitiche. Anche l’aspetto eroico, che in automatico si associa al genere con tanto di squilli militareschi e richiami patriottici, s’insinua a macchia di leopardo. Rarissimamente s’appropria di un’intera composizione. Ciò che prevale è la trasfigurazione dell’idea di patria, tessuta da una gamma così varia di sentimenti di nostalgia, tenerezza, di rabbia e disperazione che fa della Polacca uno dei generi – se non il genere – chopiniano per definizione. E quindi per De Maria un terreno di confronto ideale. Basta ascoltare come snida il canto anche nelle Polacche più perentorie, e come la forbice del suono si divarichi da dimensioni quasi catatoniche e impeti di follia. In mezzo, tutte le sfumature del sogno.
Ciò che prevale è la trasfigurazione dell’idea di patria, tessuta da una gamma così varia di sentimenti di nostalgia, tenerezza, di rabbia e disperazione che fa della Polacca uno dei generi – se non il genere – chopiniano per definizione. E quindi per De Maria un terreno di confronto ideale. Basta ascoltare come snida il canto anche nelle Polacche più perentorie, e come la forbice del suono si divarichi da dimensioni quasi catatoniche e impeti di follia. In mezzo, tutte le sfumature del sogno.Ancora un disco e l’integrale chopiniana sarà completata. Fiore all’occhiello di un interprete che ha l’ardire di affrontare tutto Chopin anche in recital, Pietro De Maria dedica l’ottavo doppio cd del percorso alle Polonaises abbinate alle Variazioni, genere non gettonatissimo dall’autore (sono solo quattro le produzioni) benché molto in auge fra i virtuosi del primo Ottocento.
Nelle Polacche si convoglia molto del mondo del compositore, dalle prime delizie (raccolte nel secondo compact disc, ove c’è anche “l’improvvisazione” di un piccolo Chopin di soli 7 anni notata sul pentagramma dal suo maestro Zywny perché il bambino non era ancora capace di scrivere le note) a quelle del dopo 1830 (anno della rivolta di Varsavia appresa da Chopin a Vienna) a quelle più mature e poliedriche. In ogni caso non composizioni monolitiche. Anche l’aspetto eroico, che in automatico si associa al genere con tanto di squilli militareschi e richiami patriottici, s’insinua a macchia di leopardo. Rarissimamente s’appropria di un’intera composizione. Ciò che prevale è la trasfigurazione dell’idea di patria, tessuta da una gamma così varia di sentimenti di nostalgia, tenerezza, di rabbia e disperazione che fa della Polacca uno dei generi – se non il genere – chopiniano per definizione. E quindi per De Maria un terreno di confronto ideale. Basta ascoltare come snida il canto anche nelle Polacche più perentorie, e come la forbice del suono si divarichi da dimensioni quasi catatoniche e impeti di follia. In mezzo, tutte le sfumature del sogno.