Pietro De Maria appartiene invece alla cerchia superiore degli interpreti consapevoli che il testo viene prima di tutto, e rientra in una storia, non solo della letteratura musicale, ma della tradizione esecutiva. E’ serio, approfondisce, ricrea la musica con una naturalezza espressiva che commuove.I Pianisti “di tendenza” suscitano interesse e per due motivi: l’esibizione di una tecnica trascendentale, e una certa bizzarria nel suonare i classici, per incuriosire. Pietro De Maria appartiene invece alla cerchia superiore degli interpreti consapevoli che il testo viene prima di tutto, e rientra in una storia, non solo della letteratura musicale, ma della tradizione esecutiva. E’ serio, approfondisce, ricrea la musica con una naturalezza espressiva che commuove.
Così, ha eseguito l’altra sera dodici preludi e fughe dal Clavicembalo ben temperato, dandoci un Bach molto espressivo, squisitamente pianistico, per nulla algido, pieno di sfumature, giochi di piano e forte ottenuti con un uso controllato del pedale che ci fa capire perché i romantici amassero tanto Bach e vi trovassero la base della loro musica: aloni, cantabilità, atmosfera.
Al centro del programma, De Maria ha piazzato Cinque studi di Gyorgy Ligeti, tra i più incandescenti del compositore ungherese. L’effetto è stato dirompente. Sembrava un braciere, divampante di fiamme: gli studi di Ligeti sono di una difficoltà trascendentale e De Maria li ha suonati da par suo, sgranando violente grandinate di note, descrivendo fruscii impalpabili, rendendo la drammaticità delle impennate deliranti, degli assottigliamenti al limite del silenzio. Eseguita così la buona musica contemporanea lascia stupiti
Pietro De Maria appartiene invece alla cerchia superiore degli interpreti consapevoli che il testo viene prima di tutto, e rientra in una storia, non solo della letteratura musicale, ma della tradizione esecutiva. E’ serio, approfondisce, ricrea la musica con una naturalezza espressiva che commuove.I Pianisti “di tendenza” suscitano interesse e per due motivi: l’esibizione di una tecnica trascendentale, e una certa bizzarria nel suonare i classici, per incuriosire. Pietro De Maria appartiene invece alla cerchia superiore degli interpreti consapevoli che il testo viene prima di tutto, e rientra in una storia, non solo della letteratura musicale, ma della tradizione esecutiva. E’ serio, approfondisce, ricrea la musica con una naturalezza espressiva che commuove.
Così, ha eseguito l’altra sera dodici preludi e fughe dal Clavicembalo ben temperato, dandoci un Bach molto espressivo, squisitamente pianistico, per nulla algido, pieno di sfumature, giochi di piano e forte ottenuti con un uso controllato del pedale che ci fa capire perché i romantici amassero tanto Bach e vi trovassero la base della loro musica: aloni, cantabilità, atmosfera.
Al centro del programma, De Maria ha piazzato Cinque studi di Gyorgy Ligeti, tra i più incandescenti del compositore ungherese. L’effetto è stato dirompente. Sembrava un braciere, divampante di fiamme: gli studi di Ligeti sono di una difficoltà trascendentale e De Maria li ha suonati da par suo, sgranando violente grandinate di note, descrivendo fruscii impalpabili, rendendo la drammaticità delle impennate deliranti, degli assottigliamenti al limite del silenzio. Eseguita così la buona musica contemporanea lascia stupiti