"...De Maria esibisce un legato di gran classe, attenua i contrasti dinamici, crea continui riverberi timbrici tra melodia ed accompagnamento anche attraverso un impiego dei pedali che non è esagerato definire virtuosistico..."Una caratteristica è rimasta assolutamente costante lungo tutta l’integrale chopiniana di Pietro De Maria, ora giunta al termine con il cofanetto dedicato alle Mazurche. E’ un suono levigato e morbido, inconfondibile. Il suono, più ancora del fraseggio, è la firma di un pianista. Però il suono dipende anche dallo strumento usato e dalla sala, risente del trascorrere del tempo. Insomma cambia, come cambia con l’età il volto delle persone. Il suono di questa integrale, invece, è sempre lo stesso. Sempre elegantissimo, sempre piccolo, cesellato con minuziosa cura. Il fatto è che De Maria ha registrato ogni volta sullo stesso pianoforte, nella stessa sala, con lo stesso accordatore, Claudio Bussotti, e con lo stesso tecnico, Valter Neri, un mago dei microfoni capace di ottenere ottimi risultati sia in termini di definizione dei dettagli sia in termini di spazialità dell’immagine sonora.
Poi viene tutto il resto, vale a dire eleganza nel fraseggio, controllo delle dinamiche, virtuosismo ed abbandono sentimentale, senso della forma e più in generale senso dello stile, qualità sulle quali abbiamo già disquisito a proposito dei precedenti volumi (cfr numeri 205 e 225 di MUSICA). Tutte caratteristiche presenti anche in queste mazurche, in cui l’impulso ritmico di origine popolare è un lontano ricordo, sublimato in un universo di elegante e salottiera bellezza. Quasi nulla viene a turbare arabeschi preziosi disegnati con stile impeccabile, anche nelle pagine che potrebbero essere apertamente brillanti e che non lo sono, per esempio la Mazurca op. 41 n. 1. Come nelle polacche, si avverte un signorile aplomb: tutto è pulito, levigato, prezioso e nel contempo morbido e caldo. De Maria esibisce un legato di gran classe, attenua i contrasti dinamici, crea continui riverberi timbrici tra melodia ed accompagnamento anche attraverso un impiego dei pedali che non è esagerato definire virtuosistico.
Inutilmente cercheremmo il dramma in uno Chopin così parigino e salottiero. Non nelle mazurche più rudi e dirette, come l’op. 33 n. 1, e nemmeno nelle battute iniziali della Fantasia op. 49, adagiate mollemente su un ritmo disteso. Sono altri gli interpreti a puntare sul dramma, sulla retorica patriottica, sulla rivelazione di lancinanti conflitti interiori; qui abbiamo un’immagine di Chopin più intima e più sfuggente, anche più salottiera, nel senso nobile del termine.
Siamo lontani dal calore e dalla vitalità del vecchio Rubinstein, siamo in un mondo elegante e a tratti perfino trasognato, come nella parte centrale della Mazurca op. 17 n. 4. Lavorate in ogni dettaglio agogico e dinamico, queste mazurche sono piccoli oggetti preziosi. L’eleganza di De Maria nobilita perfino il poco ispirato Bolero e mette in rilievo le sottigliezze sentimentali di un’altra pagina giovanile, anche se non così minore come sembrerebbe, quale il Rondeau à la Mazur op. 5, staccato ad un tempoo molto lento: come in un sogno, ma un sogno vigile, ad occhi aperti.
Luca Segalla, Musica, aprile 2012
"...De Maria esibisce un legato di gran classe, attenua i contrasti dinamici, crea continui riverberi timbrici tra melodia ed accompagnamento anche attraverso un impiego dei pedali che non è esagerato definire virtuosistico..."Una caratteristica è rimasta assolutamente costante lungo tutta l’integrale chopiniana di Pietro De Maria, ora giunta al termine con il cofanetto dedicato alle Mazurche. E’ un suono levigato e morbido, inconfondibile. Il suono, più ancora del fraseggio, è la firma di un pianista. Però il suono dipende anche dallo strumento usato e dalla sala, risente del trascorrere del tempo. Insomma cambia, come cambia con l’età il volto delle persone. Il suono di questa integrale, invece, è sempre lo stesso. Sempre elegantissimo, sempre piccolo, cesellato con minuziosa cura. Il fatto è che De Maria ha registrato ogni volta sullo stesso pianoforte, nella stessa sala, con lo stesso accordatore, Claudio Bussotti, e con lo stesso tecnico, Valter Neri, un mago dei microfoni capace di ottenere ottimi risultati sia in termini di definizione dei dettagli sia in termini di spazialità dell’immagine sonora.
Poi viene tutto il resto, vale a dire eleganza nel fraseggio, controllo delle dinamiche, virtuosismo ed abbandono sentimentale, senso della forma e più in generale senso dello stile, qualità sulle quali abbiamo già disquisito a proposito dei precedenti volumi (cfr numeri 205 e 225 di MUSICA). Tutte caratteristiche presenti anche in queste mazurche, in cui l’impulso ritmico di origine popolare è un lontano ricordo, sublimato in un universo di elegante e salottiera bellezza. Quasi nulla viene a turbare arabeschi preziosi disegnati con stile impeccabile, anche nelle pagine che potrebbero essere apertamente brillanti e che non lo sono, per esempio la Mazurca op. 41 n. 1. Come nelle polacche, si avverte un signorile aplomb: tutto è pulito, levigato, prezioso e nel contempo morbido e caldo. De Maria esibisce un legato di gran classe, attenua i contrasti dinamici, crea continui riverberi timbrici tra melodia ed accompagnamento anche attraverso un impiego dei pedali che non è esagerato definire virtuosistico.
Inutilmente cercheremmo il dramma in uno Chopin così parigino e salottiero. Non nelle mazurche più rudi e dirette, come l’op. 33 n. 1, e nemmeno nelle battute iniziali della Fantasia op. 49, adagiate mollemente su un ritmo disteso. Sono altri gli interpreti a puntare sul dramma, sulla retorica patriottica, sulla rivelazione di lancinanti conflitti interiori; qui abbiamo un’immagine di Chopin più intima e più sfuggente, anche più salottiera, nel senso nobile del termine.
Siamo lontani dal calore e dalla vitalità del vecchio Rubinstein, siamo in un mondo elegante e a tratti perfino trasognato, come nella parte centrale della Mazurca op. 17 n. 4. Lavorate in ogni dettaglio agogico e dinamico, queste mazurche sono piccoli oggetti preziosi. L’eleganza di De Maria nobilita perfino il poco ispirato Bolero e mette in rilievo le sottigliezze sentimentali di un’altra pagina giovanile, anche se non così minore come sembrerebbe, quale il Rondeau à la Mazur op. 5, staccato ad un tempoo molto lento: come in un sogno, ma un sogno vigile, ad occhi aperti.
Luca Segalla, Musica, aprile 2012